E’ di inizio Marzo la notizia delle rivolte scoppiate nelle carceri italiane, e in seguito in altre carceri nel mondo, a causa dell’epidemia di corona virus e delle restrizioni imposte ai detenuti per affrontare questa emergenza. La quarantena per i carcerati ha di fatto cancellato le visite parentali, con la scusa di evitare il contagio all’interno degli istituti penitenziari. (Allo stesso tempo però le guardie hanno continuato ad entrare e uscire per settimane senza dispositivi di protezione adeguati.)
Le rivolte scaturiscono da problematiche che anche prima della pandemia erano ben note. Il sovraffollamento cronico delle carceri italiane è certamente la maggior causa di sofferenza (oltre 61mila detenuti a fronte di circa 47mila posti utilizzabili) per persone costrette a passare la maggior parte della propria giornata in una cella di pochi metri quadri.
In un momento come questo, in cui a ogni “libero” cittadino viene chiesto di mantenere una distanza minima di un metro da ogni altro essere umano e di indossare guanti e mascherina, la situazione delle carceri appare paradossale.
Invece di venire incontro alle più che giustificate preoccupazioni dei detenuti, autorità carcerarie, ministri e governo italiano non hanno saputo far di meglio che reprimere con forza ogni protesta. Al termine delle rivolte sono stati contati 14 morti in varie careceri d’Italia. Le autorità hanno riferito che la maggior parte di queste morti sono riconducibili a overdose di metadone o da psicofarmaci. Mentre attendiamo notizie sui referti delle autopsie, non possiamo fare a meno di chiederci: ma di che cosa sono morti invece gli altri? Ad oggi non è dato sapersi.
Nel carcere di Montorio, a Verona, durante i giorni di rivolte la direzione del carcere informava che non si registravano tensioni e che non vi era alcuna rivolta al suo interno. Chissà se è andata davvero così!
Ma in questi giorni l’allarme è arrivato non dai detenuti, ma dal responsabile delle guardie carcerarie, che ha dichiarato che ci sono già più di 15 guardie ammalate e/o in quarantena e che la situazione sta peggiorando, sostenendo che si sia creato un vero e proprio focolaio di coronavirus all’interno della struttura.
Questo a dimostrazione del fatto che vietare i colloqui dei detenuti con i propri familiari non è certo il metodo migliore per confinare fuori dal carcere un’epidemia su scala mondiale come questa che stiamo vivendo.
Consideriamo che quasi tutte le tensioni, gli scontri e gli atti di autolesionismo all’interno delle carceri, così come a Montorio, sono state conseguenze di rifiuti alle richieste di permesso di colloqui fisici e telefonici, nonché di pene attenuate, domiciliari e permessi; è abbastanza evidente che sia voluto contenere la pressione che stava per provocare l’esplosione di rivolte non facendola defluire per diminuirla, ma rinforzando il contenitore reclusivo, aumentando di conseguenza l’ effetto deflagrante.
Anche uno stato autoritario come l’Iran ha liberato decine di migliaia di detenuti.
In questa situazione solo adesso lo Stato sta pensando di mettere una pezza, dopo 14 morti e un sovraffollamento già condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Si vuole portare il numero dei detenuti all’ordinarietà, alla cosiddetta capienza massima ( ciò che non è stato fatto prima), facendo uscire i detenuti con pene fino ai 18 mesi, in questo periodo che di ordinario non ha niente.
In una situazione straordinaria come quella di un contagio pandemico le misure dovrebbero riguardare tutta la popolazione detenuta e non solo una parte; in questo modo si condanna chi rimane dentro al rischio di una morte per malattia, poiché in carcere mancano le condizioni per un’assistenza sanitaria minima.
Lo stato non ha perso l’occasione per dimostrare la propria autorità a scapito della vita delle persone.
Lo scoppio di questa pandemia ci sorprende ma non ci sconvolge, poiché da tempo organismi internazionali come l’OMS, dicevano che il pericolo rappresentato dalle possibili pandemie era serio e reale. La situazione di emergenza fa affiorare oggi le criticità di questo sistema, in cui si vuol fermare tutto ma non le fabbriche, nelle quali la gente si ammala di lavoro oltre che di Covid19.
E ci fa capire che le carceri di tutto il mondo altro non sono se non lo specchio della società, una società impaurita a cui stato e padroni non offrono altro, come soluzione, che violenza, repressione e reclusione.